Assaggi di Vangelo
I miei articoli



  La gioia di riconoscere i propri errori
“Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato”. Riconoscere i propri errori, gli sbagli che si commettono è segno di grande coraggio e maturazione, porta effetti inaspettati e permette di ricominciare ogni istante a rivivere con noi stessi e con gli altri. Ammettere i propri peccati e chiedere umilmente perdono a Dio è qualcosa di incredibile, di indicibile giacché solo se lo si fa si può sperimentare cosa significa. Proviamo.




  Cercare con intensità significa trovare
“Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me, rispondimi! Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!». Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza”. Se veramente cechiamo Dio con un’intensità totale, se desideriamo che intervenga nella nostra vita, se vogliamo sopra ogni cosa che Egli ci sia vicino nel cammino quotidiano sarò Lui che ci viene incontro e, inaspettatamente, sarà nostro inseparabile compago di viaggio.




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“In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola: Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?”. Oggi, solennità del Cuore Sacratissimo di Gesù, si celebra il Giubileo dei Sacerdoti per l’anno Santo Straordinario della Misericordia. Un invito alla preghiera affinché nella ricerca della centesima pecora tutti prendiamo coscienza di quanto il Pastore tiene ad ognuno di noi e perché, in questa ricerca, i pastori non dimentichino le novantanove.




  Incontri desiderati
“In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. “Dio onnipotente ed eterno, che nel tuo disegno di amore hai ispirato alla beata Vergine Maria, che portava in grembo il tuo Figlio, di visitare sant'Elisabetta, concedi a noi di essere docili all'azione del tuo Spirito, per magnificare con Maria il tuo santo nome”.




  Corpus Domini
Nel giorno della Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, il Vangelo inizia affermando che Gesù si mise a “guarire quanti avevano bisogno di cure”. Ebbene sì, il Signore è veramente il nostro medico che ci cura con una medicina unica ed infallibile, l’Eucarestia. Se con fede e devozione ci accostiamo a ricevere il di Corpo di Cristo, nutrimento per la nostra anima, ogni malanno può essere guarito. Papa Francesco, nella sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium ci conferma questa verità: “L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (47). È proprio quando ci si sente deboli ed indifesi, addirittura impotenti difronte a certe situazioni personali e sociali, che il desiderio di accostarmi alla Comunione dovrebbe aumentare. Allora ogni realtà che sembra impossibile umanamente, come quella descritta dal Vangelo di sfamare una folla immensa di persone con soli cinque pani e due pesci, diventa possibile e si realizza veramente. Ringraziamo Dio del grande dono di questo cibo spirituale che ci ha elargito e chiediamogli di percepire sempre più la Sua presenza reale nell’Eucarestia.




  Valorizzare i piccoli gesti
“Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”. Imparare continuamente a valorizzare sempre più ciò che siamo e quello che abbiamo ricevuto in dono da Dio, non significa banalmente accontentarsi, bensì intravvedere nelle piccolezze grandi e durature gioie.




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